Le recensioni del Professor  Orazio Antonio Bologna
A L M A   P O E S I A, 
VERSO LA LUCE
Quattro poeti italiani:
Carla Baroni, Nazario Pardini, Pasquale Balestriere e Umberto Vicaretti

Parte seconda
per leggere la prima parte leggi parte uno

L’amico, come ha scritto Vicaretti, è l’altro, senza differenza di latitudine.

Toccante, a riguardo, è la bella e intensa lirica Stabat mater, nella quale ancora Vicaretti riflette con amarezza un crimine contro l’Umanità, perpetrato nel silenzio e nell’indifferenza: la lapidazione di Aisha, una bambina di appena tredici anni. La riflessione su pochi versi, invita l’Uomo di oggi a riflettere sulla propria esistenza, su se stesso, sul proprio cammino verso il futuro, verso il quale deve proiettare la memoria del passato, perché il presente sia migliore:

Ragazza mia che non hai memoria

       del fiume attraversato a piedi nudi,

       chiare le pietre amiche e levigate

       a carezzare il passo tuo gentile

       in volo dolce verso Chisimaio.

Quanti uomini, poveri e infelici, oggi vengono lapidati in modo diverso, ma non meno cruento, in nome di un egoismo e un materialismo sempre più imperante. Di ognuno di questi Vicaretti, come per Aisha, dice:

Ora che il tempo, tutto, è consumato,

       di te ci resta questo tuo sorriso

       fiorito sulle labbra un po’ arrossate

       (più grandi, e appena più perduti, gli occhi).

       Di te ci resta questo tuo silenzio,

       lama di fuoco a mutilare i sogni.

Nei quattro poeti netto è il rifiuto, e la condanna, della violenza, come traspare dai pochi versi citati. Davanti alla ferocia dell’Uomo anche la Natura sembra ribellarsi mediante le imprevedibili e incontrollabili catastrofi naturali, tra le quali i terremoti costituiscono la punizione più grave. Mediante le scosse sismiche, con i disastrosi sussulti, l’alma Terra punisce i figli ingrati, che così generosamente, e indistintamente, nutre. Questo grido di dolore è colto da Carla Baroni nella lirica La terra trema, che ricorda il terremoto che nel maggio del 2012 sconvolse Ferrara e distrusse molti centri abitati:

Saranno ancora giorni di dolore

       Nati dalle bestemmie del destino.

       S’affronta il dio terrore, l’ansia appesa

       Alla lampada che a tratti vacilla,

       allo schermo che all’alba già diffonde

       il tam tam di notizie disastrose.

I sussulti della terra spaventano, non permettono sonni tranquilli, per cui l’uomo, per sfuggire alla morte, pensa e dice con la poetessa:

anche stasera dormirò vestita,

       la luce accesa, la borsetta pronta …

Nonostante i continui moniti, l’Uomo continua a vivere nella sua protervia, alimentata da una cultura rabberciata ai crocicchi e negli angiporti e, nella migliore delle ipotesi, da faziose e devianti informazione diffuse dai mezzi di massa. L’Uomo, oggi, purtroppo, vive un’aberrante solitudine, come giustamente nota Giuseppe Balestriere nella lirica È morto ieri …piena di intensa, umana partecipazione:

È morto ieri il barbone tra due

       fioriere, stanza da letto di Piazza

       Marina. È morto il gigante barbone

       nel suo cappotto-bara tra gelati

       soffi (saranno paghi i farisei

       della turistica immagine, sgombro

       il porto della sua presenza).

Questa breve, ma pregnante pericope, è, nello stesso tempo, grido dell’umanità ferita e denuncia del cinico comportamento dell’Umanità, che ignora l’altra Umanità, schiacciata dalla povertà e dal disagio.

L’Uomo, però, dall’esperienza quotidiana dovrebbe capire che anche lui tende verso il punto, da dove non si torna più indietro. E il Balestriere, nella lirica Quando passaggi di comete acutamente annota:

… Ormai è tempo

       di sotterrare il seme

       per noi senza primavera;

       perché potremmo

       acuti canini snudare

       e trascinarci pendenti alle spalle

       mandrie di stelle a illuminare tatari

       infecondi per il nostro

       estremo cammino

       di puntigliosi taciti beduini.

La meditazione sul tempo che scorre, nella raffinata cultura del Poeta, dovrebbe condurre l’Uomo a riflettere con Orazio fugit invida hora o con l’ovidiano fugit irreparabile tempus che tutti sono chiamati a rendere conto alla Natura del proprio operato, secondo i canoni di una natualis religio, presente in ogni essere umano. Il Balestriere, per esprimere quanto gli urge nel petto, non esita a ricorrere a lessemi di rara bellezza e raffinatezza, come Nel tramonto a Paestum non esita a scrivere:

A baciare templi ed erbe, del cielo

       si piegano le labbra azzurrorosa.

In questa brevissima pericope l’hapax contribuisce a creare un’immagine di grande efficacia evocativa: azzurrorosa, infatti, conferisce al tramonto un momento di estrema vicinanza alla realtà, osservata, e cantata, con occhi incantati.

Amareggiato nell’animo, invece, quando alla notizia che un barbone era deceduto tra l’indifferenza, e con la segreta gioia degli isolani, che vedevano in lui solo il miserando spettacolo, che offriva, una un’immagine di rara bellezza ed efficacia:

 Eppure

       gli bastava che la luna stillasse

       per lui viniferi grappoli di luce

       e di calore, …

Nell’animo amareggiato e affranto dell’Uomo, che medita sulla sventura del fratello, sul compagno di viaggio, anche gli elementi naturali, simbolo, una volta, di amore e di pietà, hanno perduto quanto li caratterizzava, e li mitizzava. Anche la Natura, secondo la pregnante dicitura leopardiana, è diventata matrigna.

Come Madre benigna e benevola, invece, incontrastata domina nella Poesia di Nazario Pardini. Il colto e raffinato allievo delle Muse, con la ritmica scandire del verso, si ferma, a lungo, a soppesare il monema, il lessema, il sintagma. Nella controllata e armonica disposizione dei suoni, Pardini riversa una rara sensibilità e coinvolge il lettore sia quando gli pone davanti le assolate distese di vigne, sia quando lo proietta nelle strade deserte della campagna e della vita. Nella raffinata lirica, Lo stradone di scuola, oltre a meditare sul fluire inesorabile del tempo, invita il lettore a ripiegarsi sulla sua vita e riflettere:

Sono i solchi carrabili sbilenchi

       che incidono il tuo corso anche se pieni

       delle spighe giallastre di settembre.

       Lo stradone della scuola. Eppure perdi

       le verdi scaglie come un serpe obliquo

       in cuore alla campagna e mi dilati

       i cigli luccicanti di rugiada

       per rivestirmi il seno del fruscio

       della carta di un libro.

Nell’uomo, come nella natura, nella quale vive e della quale è parte non secondaria, lo scorrere inesorabile del tempo lascia tracce indelebili. L’ardita e ben costrutta similitudine incipitaria pone l’essere umano di fronte a se stesso e lo invita a riflettere sui profondi solchi, che, inesorabilmente scavati dall’età, gli ricordano il trascorrere del tempo e il trapasso, anche se ignoto, è imminente. Sembra che Pardini voglia ricordare e incidere nell’animo dei lettori il senecano cotidie morimur. L’Uomo ogni giorno vive le spighe giallastre di settembre. Questa ardita metafora, costituita da un forte ed eloquente adynaton pone sotto gli occhi del lettore poco avvezzo ai vibranti voli della Poesia e alla meditazione la brevità e la fugacità della vita: ogni giorno si muove sulla terra come le spighe avvizzite di fine estate. Le spighe, turgide e verdi e vigorose a primavera, a settembre, in autunno, sono giallastre, hanno impresso sulla loro fisionomia l’immagine della fine imminente.

La spiga con la sua ricca e pregnante estensione semantica è in diretto rapporto con il seno turgido della donna, quando, nel fiore degli anni, offre all’uomo le gioie dell’amore e ai figli il frutto del suo amore. Anche il seno, come la spiga, in autunno avvizzisce e preannuncia la fine.

Il concetto del tramonto, l’attesa dell’ultimo viaggio, che tutti gli esseri viventi sono chiamati ad affrontare, è ancora presente, e più netto, nell’accorata lirica, D’autunno i falò. Qui, per ovvi motivi, si ferma l’attenzione solo sui versi incipitari per la loro peculiarità e i riferimenti agli auctores, che alimentano la dotta e raffinata poesia di Pardini:

Pian piano qui declinano le pavide

       ombre d’autunno e alle finestre verdi

       di paese sanguigni si appendono

       i gerani. Ogni novembre

       fremono all’aria smossa dei rondò

       dei cipressi irridenti. Il traboccare

       di foglie sul viale variopinto

       nel suo corso di rame intenerisce

       all’ora meridiana,

Nei primi versi il Poeta, la doctrina del quale e l’eruditio emerge in ogni parola, in ogni verso, richiama il ben noto sintagma oraziano: umbra sumus. E l’umbra, dopo il ridente periodo della primavera, dopo la febbrile attività dell’estate, nella quale l’Uomo cerca di realizzare e dare senso alla sua esistenza, diventa inquietante. In autunno le foglie, avvizzite, assumono sfumature più tenui, presaghe della fine imminente. Con i loro diversi, variopinti colori cospargono il viale. Il Poeta con un’efficace ipallage richiama l’attenzione non tanto sulle foglie, quanto sul viale, che alla fine della vita rende al viandante la breve esistenza più ricca di brevi, ma intense esperienze.

Da quanto fin qui accennato sembra che Pardini veda la vita e il suo fluire con tristezza e pessimismo. La riflessione sull’Uomo, sul suo destino, sulla sua vita costellata, forse, più di dolori che di gioie, non è mai pessimismo. La riflessone diventa tale, quando il cuore dell’uomo, in preda alla disperazione, perde di vista la meta verso la quale è diretto. Il Poeta crede nella Natura, che gli offre aspetti e gioie impagabili, come canta nella lirica Era settembre:

Era settembre quando dai balconi

       brillavano i gerani alla tua festa

       ed i roseti.

In questa brevissima pericope, che prelude ancora una volta una mesta e paradigmatica riflessione sull’autunno, si avverte l’esplosione della vita. I gerani, anche se perdono subito i fiori, sui balconi e sulle finestre, a prima vista danno il senso della giovinezza, del vigore, della bellezza. È quanto coglie il Poeta nel pacato riferimento che l’autunno porta via anche quei colori rigogliosi, peni di vita e sensualità. Frequenti in questa lirica sono i richiami alla lirica di Leopardi, A Silvia, anche se non mancano riverberi dell’altra, e non meno nota, Il passero solitario. Nella produzione lirica pardiniana, come in quella di tutti coloro, che si possono definire Poeti, la lectio degli auctores è sempre presente, attuale, vitale. E i richiami sono, necessariamente, a volte chiari, a volte velati, a volte sottesi.

Sulla brevità della vita, con accenti diversi, ma non meno realistici, si piega anche Balestriere con un’intensa lirica, il titolo della quale è tratto da Ovidio: Labuntur anni:

Il nichelino che ancora ci resta

       da spendere è moneta ormai da niente

       che a valutare sonante t’ostini.

       Presto, roche lucerne, abdicheranno

       al soffio d’aia ch’ora ci appartiene,

       che svanirà d’incanto per comporsi

       in nuove incarnazioni e sentimenti.

Con l’efficace richiamo al nichelino, del quale oggi si è perduto del tutto il ricordo, il Poeta riflette, e invita a riflettere, sul poco tempo che all’uomo, giunto ormai a maturità, ancora rimane. Nell’icastica immagine della monetina, nel richiamo alla lucerna e alla breve durata della luce, che dirada le tenebre della notte, invita a mediare sull’imminente trapasso verso un mondo e una realtà diversa, nuova. L’esemplarità degli stilemi classici conferisce al componimento la gravitas necessaria per scuotere l’uomo dal torpore e incitarlo a spendere bene il poco di vita, che ancora rimane. Accanto a immagini tratte dal mondo classico non manca la presenza dell’insegnamento e del messaggio biblico.

Il breve e dotto libricino, Alma poesia, oltre a questi messaggi, appena sfiorati, contiene anche altri, e più numerosi, spunti di riflessione, che l’accorto e sagace lettore saprà cogliere, introiettare, realizzare. A questa fatica non si può non aggiungere l’augurio che Catullo rivolgeva al suo libellusplus uno maneat perenne saeclo.