20.06.2020: L’ONU celebra per la ventesima volta la Giornata Mondiale del Rifugiato
Di Riccardo Manrico Rampado
Se da un lato è certamente importante e doveroso portare all’attenzione generale le sofferenze e le criticità che patiscono milioni di uomini al mondo a causa di carestie, guerre e conflitti armati da un lato è però doveroso riflettere sull’ambiguità delle volontà politiche mondiali che concretamente non favoriscono il reperimento di idonee soluzioni.
Vorrei oggi approfondire un particolare aspetto di questa complessa tematica: il soccorso in mare; questione di cui troppo spesso se ne fa un uso politico di parte perdendo di vista l’urgente necessità di dare aiuto concreto e favorire soluzioni strutturali prospettiche.
Conoscerne le fondamenta normative e regolatorie della questione non solo ci aiuta a comprenderne il contesto generale ma ci aiuta ad individuare negligenze e responsabilità, fatto salvo distinguere sempre ed apprezzare chi opera correttamente nell’alveo del proprio mandato istituzionale.
Le attività S.A.R. (Search and Rescue) marittime, data la loro intrinseca importanza, la pluralità dei soggetti coinvolti e la complessità degli interessi in campo, sono regolate da norme di diritto nazionali, europee ed internazionali.
Dal punto di vista italiano, e per ordine di grado legislativo, queste sono le normative immediatamente richiamabili al riguardo:
- Costituzione della Repubblica Italiana – artt. 10,11 e 117;
- Codice di Procedura Penale – art. 593 (Omissione di Soccorso);
- Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 – art. 33;
- Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo – art. 1;
- Regolamento Europeo n. 656 del 2014 Sorveglianza frontiere marittime …;
- Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici 1966 – artt. 6 e 7;
- Convenzione Internazionale contro la tortura … 1984;
- Convenzione I.M.O. – S.O.L.A.S. di Londra del 1974;
- Convenzione I.M.O. – S.A.R. di Amburgo del 1979;
- Convenzione O.N.U. sul diritto del mare di Montego Bay del 1982;
- Convenzione O.N.U. “Salvage” di Londra del 1989;
- Linee guida I.M.O. del 2004;
- i vari aggiornamenti ed emendamenti alle precedenti norme poi intervenuti …
- i vari decreti ministeriali in argomento e loro successive trasformazioni in legge …
Storicamente, solo dopo il disastro del Titanic (1912) il “Diritto del mare” ha cominciato ad evolversi e ad occuparsi di come normare e regolare a livello internazionale le azioni di ricerca e soccorso in mare: infatti la prima empirica stesura della convenzione S.O.L.A.S. è del 1914. Oltre un secolo dopo, nonostante tutte le deliberazioni normative e regolatorie sul tema, molti nodi operativi e tecnici sono stati lasciati irrisolti.
I problemi concreti
Chi indica il porto? Chi lo offre? La “responsabilità primaria” – così dicono le convenzioni – è dello Stato responsabile dell’area S.A.R. in cui è avvenuto il naufragio e/o si presta soccorso ma, in realtà “tutte le nazioni coinvolte possono offrire un porto, la responsabilità è congiunta e non viene identificato uno Stato specifico: potrebbe addirittura offrirsi lo Stato di nazionalità delle persone soccorse. È interessante notare che su naufraghi e migrazioni l’Europa non ha un elenco dei “Porti sicuri” (POS). Mentre ce lo ha invece per i “porti rifugio” (POR): una vera e propria lista di località stilata dall’Emsa – European Maritime Safety Agency – I porti rifugio esistono perché la norma internazionale obbliga, ma sui naufraghi ciò non avviene per un motivo pratico: la nave che trasporta sostanze inquinanti e sta sversando in mare non può essere accolta ovunque, per ragioni infrastrutturali ad esempio. Mentre le persone soccorse possono essere trasbordate con dei gommoni anche dove non ci fosse nemmeno un molo. L’obiettivo nel caso degli esseri umani è di salvarli e porli al sicuro e quindi restringere il luogo di sbarco soltanto a un elenco di città costiere e porti potrebbe comportare tempistiche più lunghe. “Porto vicino” non è scritto da nessuna parte. “Porto sicuro” è definito solo per ciò che non è.
L’unico modo in cui si può provare a ricavarne una descrizione sono le linee guida dell’Organizzazione Internazionale del Mare (I.M.O.) del 2004, che definiscono solo che cosa non è un “luogo sicuro”. Non sono obbligatorie, si tratta di raccomandazioni e strumenti di ‘soft law’ e stabiliscono che non si può sbarcare dove non sono garantiti alcuni diritti fondamentali, in particolare se a bordo ci sono persone che potrebbero beneficiare di tutele addizionali come, ad esempio, potenziali richiedenti asilo”.
Più facile sarà capire che cos’è il “porto vicino” e dove si trova? Geograficamente sì. Giuridicamente proprio per nulla. Perché l’espressione “più vicino” (“closest” o “nearest”) non è contenuta in nessuna convenzione o trattato sul diritto internazionale del mare, almeno non con riferimento allo sbarco dei naufraghi. Mentre appare decine di volte per parlare di collisioni fra navi, delimitazioni per definire le acque territoriali, porti dove ormeggiare per riparare guasti che stanno causando danni ambientali e sversamenti in mare di sostanze tossiche o per definire la “più vicina rappresentanza diplomatica dello stato di bandiera”.
La frase che usa invece la giurisprudenza internazionale sui naufragi è un’altra: “minimum further deviation”, cioè una “deviazione minima ulteriore” rispetto alla rotta originaria della nave che ha soccorso. Un accorgimento pensato per limitare i danni economici di mercantili e armatori e ridurre il lasso di tempo in cui un’imbarcazione inadeguata si trova a navigare sovraccarica di esseri umani bisognosi di tutto.
Una prima problematica nel dare applicazione pratica al concetto di “deviazione minima” nel Mediterraneo attuale è che, tecnicamente, le O.N.G. così come anche i pescherecci non hanno una rotta originaria stabilita.
Soccorso e sbarco: quanto velocemente devono avvenire le operazioni di soccorso e, soprattutto, quelle di sbarco dei naufraghi? È stato questo in fondo il vero nodo cruciale ad es. dei casi Aquarius (scortata a Valencia dalla Guardia costiera nel giugno 2018), Diciotti (per giorni in attesa al porto di Catania), e i diversi casi Sea Watch, incluso l’ultimo, che ha visto la comandante Carola Rackete prendere la situazione di petto e forzare l’ingresso in porto. I testi internazionali, ancora una volta, offrono più punti interrogativi che certezze. La frase chiave è quel “non appena ragionevolmente praticabile” (“as soon as reasonably practicable”) messo nero su bianco nel terzo capitolo della Convenzione S.A.R. del 1979, che ovviamente lascia aperto un oceano di interpretazioni.
Esistono dunque molte “zone grigie” ed è un fatto che a volte vengano ampliate apposta perché gli Stati le possano sfruttare a proprio vantaggio. Come nel caso dell’area S.A.R. libica che serve a “dissuadere dai salvataggi”. Infatti, da quando la Libia è riuscita a istituire la sua zona di coordinamento di ricerca e soccorso nel 2018 il JRC libico è il responsabile formale del soccorso, ma si tratta anche dell’unico Paese al mondo in cui il coordinatore del salvataggio non può indicare sé stesso come “Porto Sicuro”. Spetta ai libici il coordinamento ma non possono mai indicare la propria nazione e se anche lo facessero un comandante è legittimato e giustificato a disobbedire. Del resto l’area di ricerca e soccorso è una questione quasi esclusivamente tecnica: l’I.M.O. (Istituto dell’O.N.U.) può soltanto recepire i documenti e le coordinate inoltrate dal Paese costiero, ma le conseguenze di una scelta tecnica diventano cruciali in termini politici e umanitari. Terreni scivolosi, e non sono gli unici. Perché alle controverse interpretazioni sul diritto del mare in particolare, nella valutazione complessiva del fenomeno che stiamo osservando si aggiungono anche altri aspetti di non secondaria importanza. Come quello sulla natura giuridica delle operazioni gestite in mare dall’Unione Europea, o i risvolti politici di certe posizioni interdittive in termini di remunerazione elettorale.
Concludo infine domandandomi con preoccupazione che attenzione riceveranno mai i prossimi migranti data la generale situazione di crisi sanitaria ed economica europea … dai radar dei telegiornali sembra pressoché scomparsa questa pressante tematica così come l’evoluzione della crisi Libica.