Il Lavoro Agile: riflessioni …  a distanza … per l’Imprenditore 4.0

di Riccardo Manrico Rampado

Sebbene la definizione “Lavoro Agile” comprenda i concetti di “Telelavoro” e di “Smart Working” è bene anzitutto saperne distinguere le rispettive caratteristiche. In linea di principio si considera “Telelavoro” la prestazione a distanza sistematicamente resa dal lavoratore subordinato in luoghi ed orari definiti diversi dunque da quelli della ordinaria sede di lavoro.  Lo Smart Working, che ne è la sua successiva evoluzione concettuale, considera la possibilità che la prestazione lavorativa possa esser resa sia in azienda che al di fuori di essa.

L’impianto normativo-regolatorio che le disciplina si articola stratificandosi per effetto e merito dalla legge n. 31 del 1970 alla successiva n. 877 del 1973 (in cui si usa espressamente il termine Telelavoro) per poi ritrovare più dettagliatamente normate le relative Responsabilità datoriali nella legge n. 151 del 2015 e giungere infine alla legge 81 del 2017 in cui compare il termine Smart Working.

I dati sullo sviluppo del “Lavoro Agile” dimostrano che già nel 2013 vi erano oltre 300.000 “smart workers” in Italia, più che raddoppiati nel 2017. La continua innovazione tecnologica da un lato e lo sviluppo delle nuove professionalità legate a modelli imprenditivi con prodotti sempre più dematerializzati dall’altro, hanno di certo contribuito allo sviluppo di un nuovo contesto produttivo in cui l’Agilità è fattore discriminante di successo.

L’emergenza Covid-19 ha dato un ulteriore fortissimo impulso al ricorso a queste modalità produttive consentendo ai datori di lavoro, vedi Dpcm del marzo 2020,  di “mettere in Smart Working” i propri lavoratori in modo unilaterale e senza accordi tra le parti, cosa che di per sé sovverte ed annulla tutta la precedente produzione normativa e regolatoria che li imponeva quale condizione essenziale per definire appropriatamente sia la natura che l’oggetto della prestazione da richiedere che di quella da rendersi precisandone modalità ed i tempi di esecuzione.  Cosa che peraltro avrebbero fatto comunque per puro istinto di sopravvivenza non disponendo di altre valide alternative.

Superato lo shock iniziale ed affrontate con successo le prime difficoltà operative gli imprenditori si sono resi conto di due cose: che lo Smart Working è una interessante risorsa già in precedenza disponibile (sebbene non adeguatamente compresa e sfruttata) e che per fare Smart Working ci vuole un’azienda Smart: dotata e strutturata con strumenti e processi digitali che ne intercettino ogni singola funzione.

Non credo sia utile qui approfondire gli svariati vantaggi che un’azienda Smart possa realizzare (economie logistiche, efficientamento organizzativo, sviluppo e potenziamento della comunicazione interna ed esterna ed ottimizzazione della condivisione documentale e del know how … con le relative ricadute in termini di successo imprenditoriale), piuttosto vorrei proporre alla comune riflessione il tema dell’Etica del Lavoro Agile.

Se di norma è perlomeno impegnativo coniugare Etica e Profitto, di questi tempi lo è certo ancor di più dato che ci dibattiamo in primis per la mera sopravvivenza.

Ad ogni buon conto abbiamo ben compreso che se abbiamo un collaboratore/collaboratrice a casa a lavorar per noi, la cosa non è di per sé efficace per entrambi.

Come datori di lavoro conosciamo bene la differenza tra efficiente ed efficace: ad es. una procedura efficiente prevede come affrontare tutte le casistiche possibili (ma ci vuole un mese per spiegarla); una procedura efficace sta in una pagina e risolve le casistiche più frequenti rinviando al buon senso tutte le altre.

È nostro compito anzitutto assicurarci che il nostro collaboratore/collaboratrice sia nelle condizioni di svolgere la sua prestazione in sicurezza (anche se sta a casa sua), che abbia gli spazi e gli strumenti idonei per farlo, le connessioni protette necessarie, e che i tempi lavorativi siano coerenti con i suoi compiti e le necessarie fasi di co-working coi colleghi e che possa infine alternare correttamente il lavoro con la vita personale.

Verifichiamo la sua capacità di conciliazione tra la dimensione lavorativa e quella familiare: ad esempio molte donne vivono di fatto in una condizione di svantaggio.

Un problema di cui non trovo traccia nel dibattito pubblico sul Lavoro Agile è quello relativo al pericolo di Burn Out psicologico che può manifestarsi per alienazione od isolamento dal consueto tessuto relazionale unito a preoccupazioni patologiche per la generale situazione di crisi economica e/o paura per gli effetti pandemici.

Lavorare a distanza non deve dunque consentire di dematerializzare l’esperienza lavorativa che è fatta di relazioni, scambi, confronti e non deve ridurre la percezione di appartenere ad una squadra e di avere comuni obbiettivi da affrontare e perseguire: insieme.

Un ultimo spunto sul tema: il Lavoro Agile realizzato da una azienda Smart richiede di ripensare anche la logica ed il lay out degli spazi lavorativi: il lavoratore smart necessiterà sempre meno di un ufficio proprio ma desidererà frequentare ambienti di co-working. Ed infine, l’azienda che investirà in iniziative di welfare che consentano di coniugare con maggior facilità le esigenze familiari col Lavoro Agile  saprà anche attrarre e mantenere i migliori talenti.