Le recensioni di ORAZIO ANTONIO BOLOGNA
OLTRE LA SIEPE BUIA DEI PENSIERI di CARLA BARONI
Se la Poesia, nella sua intima essenza e vitalità, si ripiega sui problemi e i travagli dell’umana esistenza, che con spire sempre più strette cercano di soffocare l’anelito dello spirito umano soprattutto nel suo rapporto col divino, bisogna riconoscere che la Baroni con questa raccolta ha realizzato ciò che si proponeva. Non senza amarezza e disorientamento, riflette e invita a meditare:
… se c’è una via
al transito bambino mi riporti
di un’anima macchiata da peccato
non suo …
Ancora una volta è l’esperienza umana, che, con l’innata dimensione spirituale e spinta al trascendente, conferisce le più autentiche pulsioni a struggenti considerazioni sull’essenza e sull’odierna dimensione umana e spirituale dell’Uomo. La Poesia si rende interprete di tali inquietudini e le trasmette alle anime in grado di percepire quali fermenti travagliano all’interno l’animo sensibile proteso verso l’Ente metafisico, fonte e origine del Creato; si piega a scandagliare il mistero impenetrabile dell’Uomo, della sua creazione, della caduta e della redenzione; accenna all’insondabile e, per certi aspetti, incomprensibile presenza del battesimo, il quale mediante il rituale, antico e sempre nuovo, umile e, al tempo stesso, nobile, per l’insondabile ricchezza spirituale, che lo impregna, trasmette la vita, perduta per un gesto antico, insensato e incomprensibile. Un gesto così umile e, oserei dire, insignificante, veicola una realtà, che solo la mente sublimata dal divino e serenata dall’illuminazione celeste riesce a percepire e vivere nella sua esatta ed feconda dimensione.
Interprete acuta e sensibile di una humanitas in cerca di se stessa e, soprattutto, del suo futuro ultraterreno, la Poetessa rivela senza timori o falsi rossori un animo travagliato e disorientato, la titubante adesione a una fede solida e antica, insidiata e minacciata da un falso e traviante ‘progresso’, che celato sotto il pregnante lessema ‘civiltà’, diviene sempre più aggressivo, violento e lacerante. Sull’altare di un fantomatico Leviathan, che con falsi miti alimenta crescenti speranze e cocenti illusioni in un’edenica era di felicità, si sacrifica la cultura dello spirito, la dimensione religiosa, il Diritto naturale nella sua più ampia e autentica espressione.
Il dettato poetico riflette con sconforto e amarezza sulle strade imboccate da un Uomo cieco; si piega su una società a brandelli, che capitola giorno dopo giorno davanti a pretese di assurdo egualitarismo; perde il senso di se stessa e piega a innaturali riconoscimenti della legge positiva quanto la Natura impone e dispone con le sue leggi; riflette con dolore sullo smarrimento di Verità prima messe acriticamente in discussione e poi spazzate via da furia iconoclasta in nome di un verbo, che attinge nei bassifondi dell’egoismo e del traviamento morale, contrabbandato con il glorioso nome di ‘libertà’ e assunto come norma e metro di una palingenesi, attesa da tempo e finalmente realizzata. Questa nuova era messianica nella sua miopia definisce ‘civile’ la società fondata sull’assurdo diritto, che appaga l’anarchia morale di coscienze senza remore.
L’Uomo, in questi ultimi tempi, sta attraversando una profonda e, per i molti risvolti implicati, insanabile crisi di Valori, ancoraggio e spinta propulsiva di intere generazioni verso alte e significative conquiste dello spirito, alle quali seguiva, come necessario e naturale completamento, il benessere materiale. Questo, sottomesso e dominato dalla vigile presenza dello spirito critico, aveva un suo decorso specifico nelle conquiste e nelle rivendicazioni della dignità umana, sancite dalla coscienza retta e ossequiente alle leggi di natura. In questi ultimi periodi, la società, rapita e trascinata da un vortice di novità, contrabbandate e propalate sotto la roboante e accattivante dicitura di ‘progresso’ e di ‘civiltà’, ha smarrito se stessa: non riesce più a distinguere ciò che è conforme alla natura da ciò che è contro; percepisce con molta difficoltà l’esistenza della legge naturale, cui quella positiva deve conformarsi, come necessaria emanazione; stravolge con spregiudicata indifferenza e arroganza il Diritto in nome d’una ‘libertà’, diventata ormai sinonimo di ‘egoismo’, ‘arroganza’; relega nel mondo di speciosa ‘arretratezza’ e ‘oscurantismo’ i dettami della religione e delle norme morali, che con la loro inossidabile solidità costituiscono la base della vita civile.
Come nella deportazione ad opera di Nabucodonosor, gli Ebrei sedevano sui fiumi di Babilonia e, in lacrime, ricordavano Sion, mentre le loro cetre appese ai salici ricordavano i tempi della felicità, così l’Uomo di oggi, spiritualmente debellato dal materialismo strisciante e dalla demagogia di un ingannevole e traviante progresso di una società incapace di reagire, si affligge nell’amara e cocente consapevolezza della sconfitta. Perciò la Poetessa non esita a notare:
Ed arpe e cetre dalle corde rotte
galleggeranno sui palustri fiumi:
solo il mio canto ferirà le stelle.
Le reminiscenze bibliche, liberamente intese e liricamente trascritte, sottendono un intenso lavorio di ricerca, di analisi, di critica, di esami interiori, di confronti con i dubbi e i dissidi. In seguito a tali riflessioni, sostenuta da indiscussa autorità, può spiegare il suo canto e aprirsi alla speranza:
e saprò infine il mio destino vero:
se regina degli Inferi al baratto
d’un giorno di gloria in questo vano mondo
o ritrovata agnella in pura Luce.
Si ritrova in questa sofferta considerazione quanto il Salmista con accenti accorati si ripromette che non dimenticherà Gerusalemme, dove innalzava i canti di Sion, perché un giorno, finita la schiavitù, potrà di nuovo tripudiare nella città santa, che è tutta la sua gioia, e al di sopra della sua contentezza. È, questo, il proposito di Carla Baroni, la quale con toni di intenso e sostenuto lirismo invia un messaggio inequivocabile all’Uomo, considerato e proiettato nella dimensione metafisica, anche se invischiato nel contingente scorrere della sua storicità.
In questo periodo di insanabili tensioni e profonde contraddizioni, secondo il pensiero della Baroni, l’Uomo sembra aver smarrito il senso della propria identità; mostra segni di decadimento spirituale, mentre è continuamente proteso alla soddisfazione dei sensi e proietta se stesso nell’edenica caducità del benessere materiale. Allontanato o, meglio, perduto il senso del divino, mentre si affanna alla ricerca di se stesso e della sua dignità su questa terra, non si accorge di precipitare nel baratro dell’annichilimento e di soffocare insieme con la sua dignità il principio fondamentale del suo essere più autentico.
Al chiasso assordante della società, che cerca di colmare il vuoto dello spirito, la Poetessa contrappone, e addita, fiduciosa nel riscatto morale e nella libertà della scelta coraggiosa, l’eremo, colto e proposto con vibrante speranza, impregnata del messaggio derivato dalla tradizione scritturistica:
l’anacoreta dalle braccia bianche
soffre al sole cocente del deserto.
All’Uomo di oggi che ha smarrito il senso e, in modo particolare, il valore della ‘solitudine’ e del ‘raccoglimento interiore’, la Baroni rivolge un accorato invito a ritornare con la mente là dove l’Evangelista nella sconfinata solitudine del deserto addita la via del riscatto e del successo, sperato e atteso. Lì la preghiera / diventa un mormorio troppo sommesso per essere percepita e avvertita in tutta la sua potenza da una umanità assordata dal fragore, in evidente contrasto con il silenzio e il raccoglimento.
Non poteva mancare nella partecipata riflessione sul dono più grande, che appaga anche il cuore più inquieto, la presenza della Fede, che innalza l’Uomo a Dio e sola riesce a infondere la serenità, affannosamente cercata, desiderata, inseguita. Sembra di sentire il Santo Vescovo di Tagaste, il quale nelle Confessiones con animo traboccante di Fede e di Speranza scrive: inquietum est cor nostrum, donec riequiescat in te. Solo allora, quando
egli ha la Fede, femmina sincera
che non si dà alle smanie del Maligno
e disseta,
polla nascosta nella grigia sabbia,
l’arsura d’ogni animo indeciso,
finisce il tormento e il cuore si apre alle chiare e cristalline sfere della luce, che rapiscono e conferiscono senso profondo e insondabile al contingente grigiore della vita arida, senza prospettive, quale si dipana davanti all’inerte e fagocitante scorrere del tempo.
La poesia della Baroni, che trova plastica incarnazione nell’endecasillabo sciolto, derivato e assimilato dalla tradizione classica, trabocca di sensazioni e di amore incondizionato per la vita, di genuini e controllati slanci, che proiettano il lettore al di là della comune, trita e anodina esistenza quotidiana. In questo fecondo e stimolante connubio l’anima riesce a scalare, con l’intensa emotività, che veicola, le balze scoscese della montagna con passi decisi, con lo sguardo fisso verso la meta. Lì con le braccia aperte attende Cristo, verso il quale l’Uomo è stato sin dall’inizio destinato.
Allontanato il dubbio e l’incertezza, la Baroni propone sofferte soluzioni, dopo ricerche scandite da sconfitte e riprese, cadute e resurrezioni, prostrazioni e momenti di gioiosi slanci, inglobati tutti in un dettato chiaro, scevro tanto della reticenza quanto dell’ipotiposi. Ogni verso tende a soddisfare le esigenze dell’anima in cerca di se stessa e di quanto, sommersa da fragorose e fuorvianti antinomie, ha smarrito nel tortuoso scorrere dell’esistenza terrena. Addita parola dopo parola la tappa fondamentale, perché l’Uomo entri nell’unione mistica con l’Essere, al quale cerca invano di identificarsi, per i limiti insiti nell’umana contingenza.
Alla fine di questa breve riflessione, ogni lettore può dire con la Poetessa, ormai avviata sulla via di Damasco:
dai anche a me le ali
perché non mi sia troppo faticoso
quell’ultimo mio viaggio all’altra sponda.
Per poter raggiungere ciò che anela, l’Uomo deve spogliarsi di quanto lo invischia, liberarsi dalle panie d’una vita immersa nella materialità e rivolgere la mente alla ricerca al divino e alla conquista della realtà metafisica, insita all’interno del suo essere.
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